In vacanza lasciando da solo il cane? Scatta reato e sequestro

Secondo quanto afferma la  recente sentenza n. 29894/2018 della Corte di Cassazione, chi va in vacanza lasciando da solo il cane per 15 giorni va incontro al sequestro preventivo dell’animale maltrattato, con conseguente rischio che il proprio comportamento sfoci nel reato ex art. 544-ter c.p., a causa delle condizioni precarie del quattro zampe.

Un’ordinanza particolarmente severa e condivisibile, che per certi versi suona come un avvertimento nei confronti di tutte quelle persone che in questo momento si stanno preparando a partire per le vacanze, e credono di poter lasciare solo e incustodito il proprio animale da compagnia.

 

I giudici della Suprema Corte, respingendo il ricorso del proprietario dell’animale, rammentano come, sia per l’ipotesi di sequestro preventivo, sia per quello probatorio, il ricorso in Cassazione sia ammesso e possibile solamente per motivi di violazione di legge, e non certo per vizio di motivazione, come invece ha avanzato la parte ricorrente.

Nella fattispecie di cui si sono occupati gli Ermellini la violazione di legge era assente, e nemmeno l’apparenza della motivazione.
Per i giudici, infatti, la corte territoriale avrebbe motivato in modo adeguato, ricordando ad esempio come fossero stati effettuati diversi sopralluoghi nell’abitazione della parte indagata, che risultava assente. Presente era invece, purtroppo, un cane sempre ritrovato in cortile, affetto da leishmaniosi e in precarie condizioni di salute, valutata l’emorragia dal naso, le unghie delle zampe incrinate, l’onicogrifosi e la linfoadenioregalia, come accertate dal servizio veterinario locale.

I vicini della parte indagata hanno poi riferito che la stessa si era allontana dall’abitazione nelle due settimane precedenti, lasciando così l’animale incustodito all’interno del cortile, e che i passanti si erano talmente impietositi dalle precarie condizioni di salute dell’animale, da aver provveduto a fornire cibo e acqua mediante le grate del cancello.

 

Insomma, nel caso di cui si è occupata la Suprema Corte, l’analisi del Tribunale aveva correttamente agito valutando il fumus commissi delicti come presupposto del sequestro preventivo. Un requisito che veniva ben evidenziato dalle risultanze degli accertamenti compiuti e riportati, mentre di contro le lamentele del ricorrente erano generiche e non collegate a specifici atti di indagini, limitandosi ad essere valutazioni di tipo ipotetico che non sono valutabili in sede di giudizio di legittimità.

Il proprietario dell’animale domestico – ricordiamo – aveva proposto ricorso ritenendo la mancanza di presupposti oggettivi e soggettivi del reato contestato, e sottolineando come in realtà non vi fosse stato alcun abbandono dell’animale, come dimostrato dalla presenza di ciotole con acqua e cibo.

Il ricorrente aveva poi sottolineato come il certificato del veterinario al momento del sequestro avesse evidenziato una massa corporea in sovrappeso. Per il proprietario dunque le condizioni di salute precarie non sarebbero riconducibili a una trascurata somministrazione di cibo o di acqua, quanto piuttosto alla leishmaniosi, malattia diagnosticata dal servizio veterinario.

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