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Il Covid-19, e la necessità di limitare i contagi, ha accelerato il processo di digitalizzazione del lavoro e l’adozione dello smart-working, che è stato prorogato recentemente a Luglio 2021.

In realtà, in Italia, si parla di “lavoro agile” da molto più tempo anche se la diffidenza, e un tendente tradizionalismo del mercato del lavoro italiano, ne hanno tardato la diffusione.
 

Origini dello smart-working in Italia

Nella legislazione italiana ne troviamo una prima traccia nella legge 16 giugno 1998 n. 1911 che disciplinava la possibilità per la Pubblica amministrazione di avvalersi di forme di lavoro a distanza, autorizzando i lavoratori a svolgere, a parità di salario, la prestazione lavorativa in un luogo diverso dalla sede.

Dal 1988 a oggi, grazie anche alla rivoluzione informatica, sono stati fatti molti progressi rendendo la “flessibilità organizzativa” un concetto di uso comune nel linguaggio del mondo del lavoro.

In particolare con la legge 81/2017 il lavoro agile è stato introdotto nell’ordinamento italiano stabilendo che datore di lavoro e il dipendente “possono stabilire che la prestazione lavorativa venga eseguita in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno senza una postazione fissa

Tuttavia, se da un lato, il “lavoro agile” ha favorito la diffusione di un modo di pensare il lavoro più dinamico e adattabile alle necessità sia del datore di lavoro che del dipendente, dall’altro ha aperto il dibattito su quelli che potrebbero essere gli svantaggi.

Gli strumenti di lavoro utilizzati dallo smart-worker, infatti, come computer, smartphone e tablet, espongono il lavoratore al rischio di una costante e continua reperibilità. È chiaro che il rischio potrebbe essere quello di un grave sbilanciamento tra vita professionale e vita privata che andrebbe a minare sia la privacy del lavoratore che la mancata regolarizzazione delle ore di lavoro.

Si inserisce in questo contesto il diritto alla disconnessione, con il fine di evitare che il lavoratore sia sottoposto a forme di pressioni e/o pretese di restare perennemente connesso.
 

Diritto di disconnessione: una definizione

Il Parlamento Europeo definisce il diritto alla disconnessione come il diritto dei lavoratori di “astenersi dallo svolgere mansioni, attività e comunicazioni elettroniche lavorative, come telefonate, email e altri messaggi, al di fuori del loro orario di lavoro, compresi i periodi di riposo, i giorni festivi ufficiali e annuali, i congedi di maternità, paternità e parentali nonché altri tipi di congedo, senza conseguenze negative

Questa definizione è contenuta nella Risoluzione del 21 gennaio 2021, in cui sono elencati tutti i rischi di una potenziale connessione prolungata: riduzione della contrazione, sovraccarico cognitivo ed emotivo, tensioni muscolari e disturbi muscolo-scheletrici, malattie legate all’esposizione prolungata a radiazioni.

Si pone quindi la necessità del riconoscimento del diritto alla disconnessione come diritto fondamentale.
 

L’esigenza di una norma europea unitaria

Nonostante il diritto dei lavoratori a non dare la loro disponibilità costante sia già regolato dalla legislazione europea, che delinea la chiara differenza tra orario di lavoro e orario non lavorativo, si pone l’esigenza dell’adozione di una legge europea con il fine di uniformare le norme degli Stati membri.

Attraverso la risoluzione del 21 gennaio, quindi, il Parlamento ha incaricato la Commissione di elaborare una direttiva sul diritto di disconnessione che tenga in considerazione le necessità individuate dalle parti interessate.

L’obiettivo da perseguire sarà quello di:

  • individuare le condizioni di lavoro;

  • garantire che lo smart-working sia il risultato di una scelta volontaria e concordata;

  • assicurare che i diritti, il carico di lavoro e le norme sulla prestazione dei lavoratori siano uguali.
     

La nuova direttiva, inoltre, nel rispetto delle leggi europee vigenti in materia di lavoro, dovrà garantire:

  • la tutela del diritto alle ferie retribuite (direttive 2003/88/CE);

  • l’equilibrio tra vita lavorativa e familiare (2019/1158);

  • la salute e la sicurezza dei lavoratori (direttiva 89/391/CEE).

La regolamentazione del lavoro agile si rivela comunque necessaria dato che la crescente diffusione dello smart-working sta creando un vuoto che rischia di rendere il sistema normativo obsoleto di fronte alle nuove esigenze del mercato del lavoro.

Se questo percorso andrà avanti si potrebbero finalmente superare quelle diffidenze sul lavoro agile che bloccano, in parte, una rivoluzione economico-sociale già in atto.


 

 

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