Avvocati: sospensione per chi diserta le udienze

Stando a quanto stabilito dalla Corte di Cassazione con la recente sentenza n. 16977/2018, rischia la sospensione l’avvocato d’ufficio che diserta immotivatamente le sentenze, e richiede denaro ai genitori del minore assistito come difensore, senza che sia attivata la liquidazione di cui all’art. 82 del d.P.R. 115/2012.

Per la pronuncia in esame, all’avvocato sono state addebitate delle violazioni dei doveri di correttezza, di diligenza e di lealtà della propria professione, avendo omesso di partecipare a una serie di udienze, senza addurre giustificato motivo o provvedere alla nomina di un sostituto.

 

Il Consiglio Nazionale Forense ha anche precisato di aver ritenuto responsabile l’avvocato per essere venuto meno ai doveri di decoro e di probità, considerato che in qualità di difensore di ufficio di un minore, aveva domandato un compenso per la propria attività professionale, che invece avrebbe dovuto essere svolta solo e unicamente dietro onorari a carico dello Stato.

In sede di giudizio in Cassazione, il professionista si è però difeso sostenendo che le proprie assenze ingiustificate erano in realtà parte di una precisa strategia di difesa: una giustificazione che però non sembra esser stata convincente agli occhi degli Ermellini, che sottolineano invece come il difensore d’ufficio che non si presenta all’udienza senza una giustificazione idonea può integrare la violazione del dovere di diligenza imposto dalla stessa legge professionale, sia nel vecchio che nel nuovo codice deontologico.

 

In particolare, i giudici di legittimità sottolineano come la violazione dei doveri professionali sia concretizzabile in virtù dell’inescusabile “mancato, ritardato o negligente compimento di atti inerenti al mandato”. In merito, non sono giustificate le censure al provvedimento nella parte in cui aveva ritenuto che la difesa d’ufficio del minore non dovesse essere retribuita.

Gli Ermellini sottolineano come l'art. 85 del d.P.R. n. 115 del 2002, impedisca al difensore d’ufficio di chiedere e di percepire dal proprio assistito compensi o rimborsi a qualunque titolo”, per un divieto che “costituisce grave illecito disciplinare professionale”.

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